
Caracalla: così si chiama un mantello celtico che Marco Aurelio Severo Antonino Pio Augusto imperatore romano, indossò per tutta la vita al punto da venirgliene appioppato il nome che lo accompagnò nella storia. Per i romani di oggi è invece il nome delle terme che questo monarca fece costruire negli anni del suo impero e che d’estate, ancora oggi, ospitano spettacoli che attirano migliaia di persone.
Dell’imperatore Caracalla, nato nel 188, non sappiamo molto, nono-stante le pagine a lui dedicate dallo storico Dione Cassio Cocceiano e la biografia contenuta nell’Historia Augusta (opera scritta da vari autori che hanno narrato le vite di diversi imperatori), se non che fu brutale e sanguinario. Sembrano confermarlo i suoi lineamenti duri e rozzi, che ci vengono tramandati dai suoi ritratti dove è rappresentato sempre come un uomo torvo e scostante. In base a molte testimonianze, Caracalla inizialmente veniva chiamato Bassiano, dal nome del nonno materno di origine sira come sua madre Giulia Domna e sacerdote di una divinità siriana: secondo L’ Historia Augusta, invece, sua madre sarebbe stata Paccia Marziana e lui un bambino adorabile, rispettoso e sensibile. A quel tempo il padre Settimio Severo era governatore della Gallia Lugdunense sotto il regno di Commodo. Una volta divenuto imperatore, il padre restaurò il principio della successione dinastica che era stata sospesa per decenni e quando morì lasciò l’impero ai suoi due figli, Caracalla e Geta, che avrebbero,dovuto governare insieme. Una decisione rovinosa, che non poteva portare nulla di buono.
Arrivò a uccidere il fratello
I due fratelli cominciarono a rivaleggiare nello sport (nella corsa dei carri) per poi diventare nemici aceri rimi nella vita. Tutti gli uomini del loro entourage dovettero prendere posizione a favore dell’uno o dell’altro finché nel 211 Caracalla risolse definitivamente il problema uccidendo i fratello, che aveva cercato rifugio fra le braccia della madre, per poi piangerlo ipocritamente.
Feroce e instabile
Nell’età adulta Caracalla fu feroce e imprevedibile: poteva mandare un regalo a qualcuno in segno di amicizia e farlo uccidere il giorno dopo. Nessuno si considerava al sicura: era possibile morire per aver compianto Geta o per averne criticato l’assassinio come accadde al grande giurista Papiniano, decapitato nel 213 d.C.; si poteva morire per il fatto di ricoprire una carica importante o per essersi distinti in un’impresa bellica o anche solo per essere figli di nemici defunti. Fanatico di Alessandro Magno fin da ragazzo, Caracalla era anche un ammiratore di Silla e di Tiberio, famosi ambedue per la loro crudeltà. È difficile dire se abbia condotto delle vere e proprie campagne militari contro i Germani e i Parti, come farebbero pensare i suoi cognornina ex viriute Germanicus e Parthicus, o se si sia limitato invece a imprese inconcludenti e raffazzonate. Sta di fatto che tutte le fonti gli sono contrarie, anche se non va escluso che quel poco di buono da lui compiuto potrebbe essere stato comprensibilmente oscurato.
Gli storici moderni gli attribuiscono l’approvazione di una legge epocale che riconosceva la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell’impero: la cosiddetta Conslilutio Antoniniana, promulgata con decreto imperiale nel 212 d.C., probabilmente a fini di tornaconto fiscale per lo stato in quanto tutti i cittadini romani erano tenuti a pagare la tassa di successione. Questo decreto fece dell’impero romano uno stato e forse anche una nazione.
La sua “falange macedone”
La passione di Caracalla per Alessandro Magno lo spinse addirittura ad arruolare e addestrare un reparto di combattenti secondo gli schemi della falange macedone e fu proprio grazie a questo reparto che poi mise a segno uno dei suoi più efferati delitti. In occasione di una visita ad Alessandria, fu accolto dalla popolazione con lazzi e sarcasmi e pesanti accenni all’assassinio di suo fratello Geta. Decise allora di vendicarsi ordinando che i giovani della città si riunissero nello stadio per essere prescelti come membri della falange che voleva ricostituire. Poi mandò l’esercito a massacrarli tutti, dicendo con tetro umorismo che così gli Alessandrini non avrebbero più avuto niente di cui ridere. Forse fu ancora la sua fanatica ammirazione per Alessandro a spingerlo a invadere a più riprese l’impero dei Parti. Fra la seconda e la terza campagna, però, venne assassinato a Edessa, antica città assira, ora in territorio turco, dove svernava da un gruppo di alti ufficiali coordinati dal prefetto del pretorio Macrino. Fu il suo staffiere a ucciderlo mentre rimontava a cavallo dopo essersi appartato per i suoi bisogni. Era il 217 e aveva regnato già per sei anni. Non aveva ancora raggiunto i 30 anni d’età.
Lascia un commento